Dalmine - Guida Turistica

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.: STORIA
 Il nome di Dalmine è normalmente associato all'omonima impresa siderurgica, nota industria multinazionale che giusto un secolo fa, nel 1906, veniva avviata dalla società tedesca Mannesmann presso Bergamo in un territorio agricolo adiacente alla zona della cosiddetta bassa bergamasca, la quale si trova lungo il percorso che conduce tuttora a Milano. E tuttavia Dalmine non è stata solo la “Dalmine”, ma è da quasi ottanta anni un centro abitato che grazie all'impulso dell'impresa siderurgica, alla localizzazione geografica favorevole e all'intraprendenza orobica è diventata uno dei principali centri abitati della provincia bergamasca. La storia del comune di Dalmine comincia relativamente tardi sotto l'aspetto istituzionale ed ha una precisa data di nascita, il luglio del 1927 quando un decreto regio unì in una unica entità politico-territoriale tre comuni distinti per quanto confinanti, ovvero Mariano al Brembo, Sforzatica e Sabbio con Dalmine, località che diede per ovvi motivi il proprio nome all'odierna “Tenaris”. Si trattava di comuni relativamente piccoli, ma con alle spalle secolari vicende che alcuni studiosi e appassionati di storia locale hanno cominciato a ricostruire da qualche decennio. Non a caso i vecchi comuni conservarono intatti asili e scuole elementari, nonché le singole parrocchie, dimostrando come una storia secolare di distinzioni permanga forte e segni l'appartenenza territoriale, tanto è vero che ancora oggi la riduzione quasi secolare al ruolo di “frazioni” non ha intaccato nello spirito una identità di fondo che connota e segna le singole comunità. Così come non è casuale che il primo podestà di Dalmine fosse Ciro Prearo, che occupava la stessa carica in uno dei comuni “assimilati”, Mariano al Brembo. Prearo ebbe a livello locale un'importanza non secondaria, mantenendo un posto di primo piano sia per i legami con la Dalmine, presso cui ricoprì ruoli significativi, sia per la sua azione politica nelle fila del Pnf, il Partito nazionale fascista. Le vicende di questa personalità trasversale tra industria e politica non sono state ancora indagate con la profondità che probabilmente meriterebbero.
 La storia complessa di popolazioni e territori, anche circoscritti, e delle loro relazioni, è un terreno di ricerca che dalla seconda metà del secolo scorso ha dato e sta dando origine a esplorazioni importanti del passato, che nei casi meglio riusciti sono risultate ben di più che semplici cronache cittadine e paesane, o nostalgiche rievocazioni affettuose del tempo perduto. In questa prospettiva di ricostruzione scientifica del passato ha deciso di muoversi il comune di Dalmine, che ha chiamato a collaborare l'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea (Isrec-Bergamo) in un progetto che punta alla ricostruzione del periodo che va dalla fondazione del comune di Dalmine fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale. I curatori della ricerca sono la dottoressa Bianca Leopardi * e l'estensore di queste righe, collaboratori dell'Isrec. I limiti temporali sono stati decisi in quanto è parso significativo a Comune e Isrec approfondire i primi anni di Dalmine, che coincisero con circostanze storiche di grande peso e con un serie di nodi storici non del tutto approfonditi finora: il rapporto tra comune e impresa, la presenza e gli obiettivi del regime in questo microcosmo, l'azione fascista e quella antifascista sul territorio, fuori dalla fabbrica. Per l'approfondimento di questi nodi sarà possibile attingere a fonti diverse, a partire dall'archivio storico del comune di Dalmine, passando per quelli parrocchiali e sondando poi il nutrito archivio aziendale, curato dalla Fondazione Dalmine, e quelli statali. Ma oltre a queste fonti “istituzionali”, com'è quasi inevitabile in una dimensione territoriale circoscritta, i curatori lavoreranno interagendo con altri studiosi, professionisti o appassionati, che si stanno occupando da alcuni anni della vita e dell'opera di alcune personalità significative legate a Dalmine e alla Dalmine. Tuttavia, oltre a questa collaborazione, si configura come significativo il contributo vivo che può venire dalle testimonianze orali di abitanti del paese ed ex lavoratori della fabbrica, alcuni dei quali sono anche attenti e capillari raccoglitori di materiale cartaceo e fotografico relativo al periodo di cui la ricerca si occupa. Si intende così perseguire un metodo di ricerca necessariamente a trecentosessanta gradi, che favorisca quell'obliquità di sguardo che appare l'approccio più produttivo e foriero di risultati per la storia, sia la grande storia, sia le “microstorie”. Il progetto avrà il suo coronamento nell'estate del 2007 con la pubblicazione dei risultati di questa ricerca, che costituiranno non solo la celebrazione di un anniversario, ma anche il rispecchiamento delle vicende di un'entità territoriale e umana progressivamente mutatasi in una comunità nuova.
 Una prima esplorazione e illustrazione del carattere di Dalmine come company town è stata realizzata attraverso un progetto di ricerca curato dalla Fondazione Dalmine ed esposto in una mostra itinerante tra il 2003 e il 2004. Il progetto di ricerca attuale intende allargare lo sguardo oltre la prospettiva di una città “della fabbrica” e intende ricostruire la storia della città come tale, una realtà territoriale passata quasi repentinamente da terra di contadini a borgo industriale, che vide arrivare all'interno di confini circoscritti da secoli migliaia di lavoratori “foresti”. Ma anche un microcosmo che le circostanze storiche della politica fecero assurgere al ruolo di simbolo, per alcuni addirittura anticipatorio del “biennio rosso”, dal momento che nel marzo 1919 si verificò un'occupazione voluta e guidata dalla Uil di Alceste de Ambris. Si trattò di un'azione per molti versi anomala, in quanto gli operai che occuparono la fabbrica continuarono, tuttavia, la produzione in una sorta di autogestione. A dare all'azione un carattere di emblema politico fu l'intervento di Mussolini, allora semplice leader politico, che giunse al tubificio durante quei giorni per sostenere l'opera di un sindacato amico. Il futuro “duce” pronunciò un discorso improntato alla necessità di collaborazione tra capitale e lavoro, ed espresse l'idea che gli operai come “produttori” avessero il diritto di trattare su un piano di parità con gli industriali. Non sorprende, dunque, che le parole di questo discorso divenissero poi un punto di riferimento nella propaganda fascista, a mostrare l'anima “popolare” e vicina al lavoro del duce e del suo partito. Così, pur senza diventare un “sacrario” del regime, Dalmine ricoprì sicuramente un ruolo emblematico che la rese qualcosa di più di una semplice cittadina industriale. Infatti, se è scontato che passaggi significativi del famoso intervento del duce rimanessero scolpiti o incisi su tutti i monumenti pubblici cittadini, la presenza del fascismo a Dalmine superò l'inevitabile pervasività con la quale un regime totalitario cerca di riempire di sé la vita dei suoi cittadini. La realizzazione compiuta e ampia della collaborazione tra capitale e lavoro, da sempre elemento forte dell'ideologia fascista, trovò infatti nell'azione della Dalmine come impresa una significativa espressione, articolata in diverse opere assistenziali e ricreative per i lavoratori, che ebbero un deciso impulso anche grazie alle strategie di Agostino Rocca, che guidò la Dalmine dopo la sua “nazionalizzazione” conseguente alla crisi mondiale degli anni Trenta. Non si possono trascurare, nel contempo, anche gli interventi finanziati dall'azienda nel centro abitato che la ospitava: tra gli altri la chiesa e le strutture sportive, e in generale altri investimenti sociali a favore del giovane comune. Il fatto che nell'immenso repertorio audiovisivo dell'Istituto Luce siano contenuti alcuni filmati specificamente dedicati a Dalmine e alla Dalmine, sollecitati certo dalla committenza privata, può essere in ogni caso rivelatorio di come la propaganda del regime vedesse in questa cittadina un microcosmo da considerare come possibile esemplificazione per la società nuova che il fascismo voleva costruire. Una traccia a nostro parere significativa l'ha fornita la già citata mostra della Fondazione Dalmine, che ha mostrato, tra gli altri filmati, una breve fiction ambientata nella cittadina bergamasca, nella quale si segue la storia d'amore tra due ragazzi, entrambi operai della fabbrica, che nasce e si sviluppa tra gare ciclistiche organizzate dalla fabbrica, e mungitura presso la fattoria aziendale. Il filmato è anche un tour tra le realizzazioni sociali dell'impresa, e il suo messaggio indiretto era evidentemente legato a un'idea di conciliazione e serenità sociale garantite dall'alleanza tra fabbrica e regime. Questo senza dimenticare come indirettamente emergesse dalle immagini la doppia anima di un comune industriale con radici rurali, queste ultime permanenti e non accidentali, una doppia anima che non doveva spiacere al fascismo. Questa doppia anima era anche una necessità economica, in quanto gli operai stagionali, spesso residenti nel comune e nel territorio circostante, dovevano arrotondare necessariamente lo stipendio continuando a svolgere anche attività agricole. E a questo proposito una traccia significativa emerge dalla testimonianza di una figura di primo piano dell'antifascismo locale, l'operaio azionista Pietro Sottocornola, che rammenta come per la riuscita degli scioperi operai del 1944-45 il gruppo dirigente resistenziale avesse dovuto badare attentamente al calendario agricolo in modo da avere la più ampia partecipazione possibile.